Ai confini del buio. Piacere e violenza in Kathryn Bigelow

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Premiata con l’Oscar per The Hurt Locker, definita da un critico “la figlia femminista di Howard Hawks”, Kathryn Bigelow ha saputo giocare al gioco del cinema d’azione virile meglio di tanti registi maschili. I suoi film, da Point Break a Blue Steel, da Near Dark a Zero Dark Thirty, sollecitano un’immersione dei sensi: un’esperienza estetica in cui si miscelano rapimento e complicità, feticismo e voyeurismo, luce e ombra. Un’avventura sensuale quanto mai attuale nell’era contemporanea della permissività estrema in cui gli artisti sono quasi “costretti” a esibire in modo diretto le loro fantasie più private, e che è ben riassunta dalle parole del protagonista di Strange Days: “Tutti abbiamo bisogno di avventurarci nel tratto buio in fondo alla strada, è la nostra natura”. Studiare il cinema della Bigelow significa capire qualcosa in più dei meccanismi di fascinazione dell’arte e di un inconscio personale che diventa collettivo, nella misura in cui questa regista americana rappresenta bene il nostro tempo, i totem e i tabù di un’epoca ben precisa.  Il libro diventa così un attraversamento critico dell’immaginario americano come momento “forte”, importante per capire chi siamo e come agiamo.

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